Il Tempo del Sogno (2006)
Il Tempo del Sognoèstato espressamente realizzato da Stefano Scala per l'esposizione diArte Aborigena Australiana organizzata dalla Galleria Bolzani diMilano. Si tratta di musiche dall'incedere tribale ed evocativo chepossono rientrare originalmente nella scena etno-ambient senzaricalcarne alcun cliscè.
Il primo pezzo è molto suggestivo edevocativo,teatrale, un'emozionale introduzione, poi ci si addentra neicolori della terra fatti di polveri rosse ed ocra come quelle di AyersRock, che si crogiolano adun sole torrido e preistorico. Lo scorreredei pezzi permette di addentrarsi,come in un viaggio, nell'esperienzadell'essere uomo che naturalmente vive immerso in una meditazione, doveil luogo che guida è preciso, magico, nello stesso modo lo spaziotemporale evocato e raggiunto non è casuale, è quellodel 'tempo delsogno': un'esperienza percepibile attraverso la musica per colui che saascoltare,che diviene reale e tangibile. Solo scoprendosidimenticato,assopito nella memoria il pensiero poetico ritrova lastrada del manifestarsi come fa l'acqua del deserto, che da lungo tempoattesa cade a terra, si raccoglie e unendosi in piccoli rivi,sciogliendo e combinando in sempre nuove combinazioni i colori dellepolveri rosse che incontra sul suo cammino, muove il fiume della vita,unendo alchemicamente, con semplicità, le energie del cielo e dellaterra per dare luce ad un ritmo/pulsazione che trova qui luogoe ispirazione per distaccarsi da quello spazio vuoto primordiale,l'origine dalla quale ogni creatura è generata.
Una scelta davveroaccurata dei suoni, degli strumenti e delle percussioni uniti edelaborati da arrangiamenti eseguiti con molto tatto, rendono Il Tempo del Sognoun album-viaggio molto coinvolgente e trascinante senz'altro unico nelsuo genere, differente da progetti musicali di tematica similarerealizzati in precedenza da altri artisti.
Stefano Musso / label press
Disogni si parla nel nuovo disco di Stefano Scala, ricercatore epolistrumentista che da tempo ha intrapreso un viaggio-ricerca distampo etnomusicologico, ma sopratutto interiore, alle radici dellamusica, non prima di aver militato in orchestre sinfoniche e popolari.Suona una gran quantità di strumenti, con precisione e stile:percussioni, tastiere e synth, vibrafono, didjeridoo, flauti eocarine,chitarra elettrica. Qui è affiancato da altri amici musicistitra cui GiuseppeVerticchio-Nimh al didjeridoo, click sticks, synth,voce e computer. Un omaggio al "Tempo Dei Sogni" dellamitologia aborigena australiana dunque, ma filtrato attraverso ilpercorso narrativo di un Bruce Chatwin, di cui viene ripreso e recitatonel lungo brano introduttivo Origin, forse il passaggio più bello del suo libro "Le Vie Dei Canti". Temi questi che a sua volta avevano ispirato gente come Steve Roach, Stephen Kent e i suoi Lights In A Fat City.
Gino Dal Soler / Blow Up (6/7)
IlMƒ Scala Stefano, ricercatore musicale,polistrumentista e compositoresi e’ sempre dedicato alle ricerche etnomusicologiche ed alle musicheetniche. Dopo aver militato in orchestresinfoniche e popolari haintrapreso una ricerca verso le radici della musica. Ha effettuato unaserie di concerti e di viaggi per il mondo, passando pressodeserti,eremitaggi, rifugi, baite, monasteri, giardini botanici e vivai,tenendoconcerti in posti particolari ed inusuali, come, grotte, vivai,fortiniad alta quota, alpeggi. Da anni si occupadi musica ambient, con un chiaro riferimento a linee spiritualierituali, dove i suoni acustici, talvolta si uniscono al suonoelettronico.
Un'operadi grande spessore e dinotevole fascino che il Maestro Stefano Scala,ricercatore musicale,polistrumentista e compositore, da anni dedito inparticolare a ricercheetnomusicologiche e musiche etniche, ha volutodedicare alla cultura degliaborigeni australiani, ispirandosi inparticolar modo a "Le Vie deiCanti" di Bruce Chatwin, testo dal quale ha peraltro tratto un passorecitato da Stefano Taglietti in "Origin",straordinario etrainante brano introduttivo. Lavoro incentrato susonorità di tipoambient-rituale con forte prevalenza di suoni distrumenti etnici, tra cuiinevitabilmente quello del Didgeridoo oYidaki, tradizionale strumento a fiatodei nativi australiani, "Il Tempo del Sogno"si articola inotto tracce che evocano suggestive immagini e scenariprimordiali, tra antichepitture rupestri, terre color ocra, immensedistese di sabbia e tramonti colorerosso fuoco riflessi su sacri,antichi e mastodontici monoliti rocciosi... Purcaratterizzato da unutilizzo predominante di strumenti etnici, peraltro nonsoltanto dispecifica origine australiana, il CD utilizza al contempo tramesonoredi matrice elettronica che contribuiscono a creare atmosfere digrandesuggestione, aiutando a descrivere e "dipingere" con grandeefficaciae ricchezza di dettagli quegli stessi scenari primordiali chela musica intendeevocare. La strumentazione impiegata non si esauriscequi, giacchè StefanoScala, talvolta supportato dal contributo di alcunicollaboratori, ha volutoutilizzare anche varie percussioni, chitarraelettrica, vibrafono, timpani,ocarine, flauti, voce, rainstick,campionamenti di canti aborigeni, affrontandosituazioni talora diimpronta più etnico-ritmico-rituale ("Corroboree","Danza degli Antenati", "Seguendo Namarrgon"),talora più dilatate e d'atmosfera e quindi prossime ad un contesto "ambient"("Il Tempo del Sogno", "Il Canto dell'antenato",la prima parte del già citato "Origin"), talvoltacaratterizzate da una inconsueta vena di tipo più spiccatamente sperimentale,come nella breve "Voices", nella seconda metà di "Origin",e nella più lunga, articolata, e assolutamente imprevedibile "Danzadegli Eucalipti",traccia che unisce il suono lungo e profondo deldidgeridoo, frenetici esecchi suoni percussivi, e una curiosa sequenza melodica"portante" inripetizione di un suono di origine (quasi certamente)sintetica.Concludo aggiungendo che avrei desiderato utilizzare perquestarecensione aggettivi e parole di apprezzamento ancora più deciseed enfatiche,ma che mi sono astenuto dal farlo in quanto, rientrandopersonalmente nella"rosa" degli strumentisti che hanno offerto ilproprio contributo aStefano Scala per la realizzazione di questo CD, ungiudizio eccessivamentesbilanciato avrebbe potuto apparire, come forsein fondo un po' lo è in ognicaso, non del tutto obiettivo eassolutamente "imparziale".
Giuseppe Verticchio - 8 Ottobre 2006
Inun’epoca dove pochi si soffermano ad ascoltare ciò che viene tramandatoda miti e culture lontane, questo CD può incuriosire e senon altrorallentare la frenesia di chi non ha mai tempo di far nulla. Il CDdiStefano Scala, anche se frutto di un preciso percorso espositivo(l'esposizione"Arte Aborigena Australiana"), si muove in questo senso.
Laparte recitante di "Origin" ci conduce oltre il mito distillandocitramandazioni e conoscenze ancestrali. L'inusuale ma idoneo flautotraverso di Marco Casini unitamente alla chitarra in lontananza diScalaci incanta e ci accompagna nel percorso espositivo come in "Quadridi un'esposizione"di Mussorgsky. Dalla seconda traccia in poi ci sitrova definitivamentecatapultati in lande desolate: strumenti primordiali scandiscono "nuovi"ritmi di vita che a nostra insaputa molti indigenistanno ancoracustodendo e cercando di salvaguardare con le loro poche forze.Trattasidi un album etnomusicologico che ci ripropone preistoriche formediaggregazione e di rito. L'ascoltatore ricettivo è stimolato infattiad"aprire gli occhi" e ritrovarsi seminudo (indigeno) lontanoda tecnologie digitali e dal villaggio globale. I didjeridoo diVerticchio e Heggin se certe incessanti percussioni ci trasmettonoarmoniche e atavici richiami della Madre Terra. Un album per scoprirecome tutto sia interconnesso e di come non siabbia più la capacità diudire “l'inudibile” che perennemente ci risuona accanto ovunque citroviamo.
Nella traccia che da il titolo all'album onomatopeiciversi di animali nascosti e l'incessante e ancestrale didjeridoo ciinvitano ad abbandonare tutto e ad osservare realmente i nostri veriorizzonti. Va sottolineato che il sapiente e non invasivo uso deisintetizzatori aggiunge valore al rito senza forzare il costrutto. Se illavoro di Walter Maioli ha fatto e continua a fare scuola, "Il Tempo del Sogno" si propone di trasfonderci, per mutua induzione, evocazioni aborigene ma anche di condurci magari in biblioteca al reparto antropologia.Questo CD deve farci riscoprire "Il sogno delle formiche verdi"diWerner Herzog che chiunque sia giunto sin qui non può non aver visto.Ben vengano in futuro altri lavori di rafforzamento ai percorsiespositivi... sia per molti solo virtuali.
Roberto Alberini - ottobre 200
Leradici della musica e la ricerca delle sue origini ancestrali sonospesso la ragion d'essere per compositori contemporanei come StefanoScala. "Il Tempo del Sogno"non nasce solo dalla sperimentazionesonora nell'isolamento di uno studio diregistrazione ma è il frutto diviaggi lontani, di concerti fra siti naturali e pellegrinaggi spiritualiche il musicista ha intrapreso attraverso le frontiere del mondo. Ilrespiro narrativo dell'opera risente in ogni suo passaggio di questatensione interiore sin dal prologo vocale, aleggia fra le note e ledanze rituali che intessono le otto composizioni radunate nell'albo.Pura esperienza divinatoria che dispensa mantra su mantra al suono deldidjeridoo e dei flauti,dei tamburi e dei synths siderali che incalzanoattraverso i cerchi della vibrazione primordiale. 8/10
Aldo Chimenti/Rockerilla nov/dic2006